lunedì 26 settembre 2016

Adulto

(lettera di un adulto al mondo)

Andare avanti ogni giorno è doloroso.

Il passato si sovrappone, testardo, e prendiamo coscienza che non siamo più bambini, che non siamo neanche più giovani. Il tempo passa e ci porta con sé. Guadagniamo molto eppure rimane sempre la sensazione di aver perso molto. La vita prosegue e così anche il corpo. Tutto verso la fine. E noi nel mezzo, perduti, la testa che non sa se essere corpo o anima.

Vivere tutti i giorni è meraviglioso e non smette di essere orribile.

Le responsabilità soffocano, comprimono. Quanto più cresci, tanto meno puoi cadere. Ci sono meno margini di caduta. Un adulto è sempre un bambino con troppe responsabilità. Con troppi obblighi. Un bambino è fatto per cadere, un adulto è fatto per rialzarsi. Alzarsi tutti i giorni. Perdi il lavoro e devi rialzarti. Perdi un amico e devi rialzarti. Perdi un’opportunità e devi rialzarti. Perdi tutto e devi rialzarti.

Rialzarsi tutti i giorni fa male.

E il grigio strangola. Colonizza. Ci assorbe per intero. Mi distraggo un secondo e mi ci ritrovo dentro: completamente grigio, una trama assurda di più o meno, una tela irrespirabile di mezza felicità – mezza infelicità. Il tran-tran non è un’onomatopea, è una malattia. La routine contagia – ma contagia perché non riesce a contagiare. La routine contagia con l’incapacità di emozionare, di muoversi, di agitarsi. Ripetere soltanto l’irripetibile: ecco ciò che dobbiamo ricercare.

Emozionarsi sempre consuma ma non emozionarsi mai uccide.

Ieri ero giovane e cullavo tutti i sogni del mondo; oggi sono un quasi-vecchio e tutto ciò che ho ottenuto sono dei quasi-sogni. Sono stato felice. Chiaro che sono stato felice. Ho potuto abbracciare, baciare, amare. Ma dura un attimo. Vivere dura sempre un attimo. E ci sono giorni in cui vivere dura troppo. Giorni in cui è urgente smettere di vivere. Time out. Stand-by. Rimanere lì, a guardarci dentro dal di fuori; cercare di capire cosa siamo, cosa vogliamo. Alla fine non cambierà nulla e nulla rimarrà come prima.
È stancante quando tutti i giorni nulla cambia e nulla rimane come prima.

Sono un adulto e non so chi sono: ecco l’unica dichiarazione possibile. Ecco l’unica verità possibile. Voglio essere la creatura più felice del mondo e lotterei fino alla fine dei miei giorni per riuscirci. Ma forse è proprio questa smania di felicità, questa lotta continua, che mi impedisce di essere felice. Forse desidero troppo essere felice. Forse amo troppo, forse esigo troppo. Ma solo ciò che è troppo non è sbagliato.

Due giorni fa ero un neonato e tra due giorni sarò un vecchio: qui giace un adulto. È per questo, per essere gli attori della vera adolescenza, lo stato di transizione tra l’inizio e la fine, che gli adulti non saranno mai creature libere. Perché non sono capaci di pensare come i bambini, perché non sono capaci di non pensare come i vecchi. Gli adulti hanno molto da perdere e per questo si perdono. Si perdono nella carriera che vogliono avere, nella famiglia che vogliono avere, nel futuro assicurato che vogliono avere. Gli adulti si perdono in ciò che vogliono avere e si dimenticano di quello che sono. La vita, per un adulto, è quella cosa che accade mentre soltanto gli stupidi pensano alla vita. Un adulto si trova sul picco più in alto di tutti e raramente riesce ad alzarsi da terra.

Pensare alla vita tutti i giorni annoia.

Gli adulti sono una seccatura. Io sono una seccatura. E la cosa peggiore è che so di essere una seccatura. So che non ho più la pazienza per sopportare quello che devo sopportare. So che potrei ridere di più, che potrei tentare di più, che potrei volare di più, che potrei amare di più. Ma mi manca la giovinezza per farlo. Mi manca il coraggio per farlo. Penso a quello che posso perdere e rinuncio a quello che posso guadagnare. Gli adulti sono una seccatura. Gli adulti sono dei pusillanimi.

Essere dei pusillanimi tutti i giorni infastidisce.

Sono un adulto e sono felice: quante volte lo diciamo – e sentiamo – davvero?

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in "Prometto di perdere", da Pedro Chagas Freitas